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La giornata di permesso, concessa dal datore di lavoro ex L. n. 104/1992, deve essere utilizzata dal lavoratore interamente per l’assistenza e la cura del familiare disabile e lo svolgimento di attività diverse integra un’ipotesi di abuso del diritto.

Questo è lo stato di arrivo dell’evoluzione giurisprudenziale interpretativa del quadro normativo che regola i permessi concessi al lavoratore per l’assistenza del parente disabile, così come cristallizzato dalla Suprema Corte di Cassazione in due sentenze del maggio 2016, la n. 9217 e la n. 9749.

La prima di queste due pronunce qualifica come legittimo il licenziamento del lavoratore irrogato per giusta causa nel caso in cui costui abbia dedicato solo parzialmente all’attività di assistenza la giornata di permesso concessagli ai sensi della L. n. 104/1992.

Nel caso di specie, il dipendente di un’azienda automobilistica aveva formulato richiesta di alcuni permessi ex L. n. 104/1992 per assistere la cognata, non convivente e affetta da disabilità grave.

Le ore impiegate per tale assistenza, però, erano state in numero molto inferiore rispetto a quelle concesse in permesso.

Una tal condotta, secondo i Giudici della legittimità, costituisce abuso del diritto, poiché il lavoratore utilizza abusivamente del tempo cui ha diritto per svolgere una determinata attività, così recando un danno al datore di lavoro (in termini di organizzazione e di contribuzione figurativa) e all’Inps (che si accolla la copertura economica dei permessi ex L. n. 104/1992).

La sentenza n. 9476, poi, aggiunge che il comportamento è “suscettibile di rilevanza anche penale”, richiamando, seppur implicitamente, l’impostazione del Tribunale di Pisa nella sentenza n. 258/2011, che ha inquadrato la fattispecie come “truffa”, a nulla rilevando il fatto che parte del tempo concesso in permesso fosse stato utilizzato per il recupero delle energie psicofisiche spese nell’assistenza e nella cura del disabile.

 

Cass. sent. 9217 2016

Cass. sent. 9749 2016

 

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